Testi tratti da "Il barone rampante"
di Italo Calvino
letti durante la performance

01 Tavola con i familiari

Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora. A capotavola era il Barone Arminio Piovasco di Rondò, nostro padre, con la parrucca lunga sulle orecchie alla Luigi XIV, fuori tempo come tante cose sue. Tra me e mio fratello sedeva l’abate Fauchelafleur, elemosiniere della nostra famiglia ed aio di noi ragazzi. Di fronte avevamo la Generalessa Corradina di Rondò, nostra madre, e nostra sorella Battista, monaca di casa. All’altro capo della tavola, rimpetto a nostro padre, sedeva, vestito alla turca, il Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega, amministratore e idraulico dei nostri poderi, e nostro zio naturale, in quanto fratello illegittimo di nostro padre. Poi, quel mezzogiorno del 15 giugno, cosa aveva preparato nostra sorella Battista? Zuppa di lumache e pietanza di lumache. Cosimo non volle toccare neanche un guscio. – Mangiate subito o vi rinchiudiamo nello stanzino! – Io cedetti e cominciai a trangugiare quei molluschi.
- E allora? - chiese mio padre a Cosimo.
- No e poi no! – fece Cosimo e respinse il piatto.
- Via da questa tavola!
Ma già Cosimo aveva voltato le spalle a tutti noi e stava uscendo dalla sala.
- Dove vai?
- Lo so io – Corse in giardino.
Di lì a poco lo vedemmo che si arrampicava su per l’elce. Cosimo salì fino alla forcella di un grosso ramo dove poteva stare comodo e si sedette lì.
Nostro padre si sporse dal davanzale - Quando sarai stanco di stare lì cambierai idea! - gli gridò.
- Non cambierò mai idea - fece mio fratello dal ramo.
- Ti farò vedere io, appena scendi!
- E io non scenderò più! – E mantenne la parola.

 

02 Cosimo sull’albero

Così un po’ mangiando di quel che cacciava, un po’ facendone cambio coi contadini per frutta e verdura, campava proprio bene, anche senza bisogno che da casa gli passassero più niente. Un giorno apprendemmo che beveva latte fresco ogni mattina: s’era fatta amica una capra, che andava ad arrampicarsi su una forcella d’ulivo, un posto facile a due palmi da terra, anzi, non che ci s’arrampicasse, ci saliva con le zampe di dietro, cosicché lui sceso con un secchio alla forcella la mungeva. Lo stesso accordo aveva con una gallina, una rossa padovana, molto brava. Le aveva fatto un nido segreto, nel cavo di un tronco, e un giorno sì e uno no ci trovava un uovo, che beveva dopo averci fatto due buchi con lo spillo.
Altro problema fare i suoi bisogni. Dapprincipio, qua e là, non ci badava, il mondo è grande, la faceva dove capita. Poi comprese che non era bello. Allora trovò, sulla riva del torrente Merdanzo, un ontano che sporgeva sul punto più propizio e appartato, con una forcella sulla quale si poteva stare comodamente seduti. Il Merdanzo era un torrente oscuro, nascosto tra le canne, rapido di corso, e i paesi viciniori vi gettavano le acque di scolo. Così il giovane Piovasco di Rondò viveva civilmente rispettando il decoro del prossimo e suo proprio.

 


03 Viola vicino all’altalena

C’era un gran silenzio. Solo un volo si levò di piccolissimi luì, gridando. E si sentì una vocetta che cantava: - Oh là là là! La ba-la-nçoire… - Cosimo guardò giù. Appesa al ramo d’un grande albero vicino dondolava un’altalena con seduta una bambina sui dieci anni.
Era una bambina bionda con un’alta pettinatura un po’ buffa per una bimba, un vestito azzurro anche quello troppo da grande. La bambina guardava a occhi socchiusi e naso in su, come per un suo vezzo di far la dama e mangiava una mela a morsi.
Cosimo, d’in cima alla magnolia, era calato fino al palco più basso, ed ora stava coi piedi piantati uno qua uno là in due forcelle.
Lei non stava attenta e non se n’era accorta. Tutt’a un tratto se lo vide lì, ritto sull’albero in tricorno e ghette. - Oh! – disse.
La mela le cadde di mano e rotolò ai piedi della magnolia.
Lei si dette la spinta e volò, le mani strette alle funi. Cosimo dalla magnolia saltò sul grosso ramo che reggeva l’altalena e di là afferrò le funi e si mise lui a farla dondolare. L’altalena andava sempre più in su.
- Hai paura?
- Io no. Come ti chiami?
- Io Cosimo… E tu?
- Violante ma mi dicono Viola.

 

04 Gian dei Brughi esce dalla caverna e restituisce i libri al Barone

Arrivarono gli sbirri. La corda era stata già tirata su e Gian dei Brughi era accanto a Cosimo tra le fronde del noce.
- Buondì, Signoria – fecero – non avrebbe per caso visto correre il brigante Gian dei Brughi?
- Chi fosse non so, - rispose Cosimo – ma se cercate un omino che correva, ha preso di là verso il torrente…
- Un omino? E’ un tronco d’uomo che mette paura…
- Be’, di quassù sembrate tutti piccoli…
Cosimo tornò sul noce a leggere il Gil Blas. Gian dei Brughi era sempre abbracciato al ramo, pallido in mezzo ai capelli e alla barba ispidi e rossi proprio come brughi, con impigliati foglie secche, ricci di castagna e aghi di pino. Squadrava Cosimo con due occhi verdi, tondi e smarriti, brutto era brutto.
- Cosa legge di bello?
- Il Gil Blas di Lesage.
- È bello?
- Eh sì.
- Le manca tanto a finirlo?
- Perché? Be’ una ventina di pagine.
- Perché quando l’aveva finito volevo chiederle se me lo prestava.

 

05 Viola a cavallo

L’ostinazione amorosa di Viola s’incontrava con quella di Cosimo, e talora si scontrava. Cosimo rifuggiva dagli indugi, dalle mollezze, dalle perversità raffinate. Ma Viola era anche donna capricciosa, viziata, di sangue e d’animo cattolico. L’amore di Cosimo le colmava i sensi, ma ne lasciava insoddisfatte le fantasie.
Stanchi, cercavano i loro rifugi nascosti sugli alberi dalla chioma più folta: amache che avvolgevano i loro corpi come in una foglia accartocciata, o padiglioni pensili, con tendaggi che volavano al vento, o giacigli di piume.
Su queste loro alcove si posavano a cantare i pettirossi e di tra le fronde entravano farfalle vanesse a coppia, inseguendosi.

 

06 Albero delle cinque passere

Checchina o non Checchina, le sue tresche mio fratello le aveva senza mai scendere dagli alberi.
Di queste storie se ne raccontavano molte, specialmente in casa di certe madame genovesi che tenevano riunioni per uomini abbienti, e così a queste cinque signore deve essere venuta voglia d’andare a far visita al Barone. Difatti si dice di una quercia, che si chiama ancora la Quercia delle Cinque Passere, e noi vecchi sappiamo quello che vuol dire.
Fu un certo Gè, mercante di zibibbo, a raccontarlo, uomo a cui si può dar credto. Era una bella giornata di sole, e questo Gè andava a caccia nel bosco; arriva a quella quercia e cosa vede? Se le era portate tutte cinque sui rami, Cosimo, una qua e una là, e si gustavano il tepore, tutte nude, cogli ombrellini aperti per non farsi scottare dal sole, e il Barone era là in mezzo, che leggeva versi latini, non riuscii a capire se d’Ovidio o di Lucrezio.

 

07 Napoleone in visita al Barone

Venne l’imperatore col seguito. Era mezzogiorno. Napoleone guardava su tra i rami verso Cosimo e aveva il sole negli occhi. Cominciò a rivolgere a Cosimo quattro frasi di circostanza: - Je sais très bien que vous, citoyen… - e faceva il saltino in qua perché il sole non gli battesse tra gli occhi, e faceva il saltino in là perché Cosimo in un inchino d’assenso gli aveva di nuovo scoperto il sole.
Vedendo l’inquietudine di Bonaparte, Cosimo domandò cortese: - Posso fare qualcosa per voi, mon Empereur?
- Sì, sì, - disse Napoleone, - statevene un po’ più in qua, ve ne prego, per risparmiarmi il sole, ecco, così, fermo… - Poi si tacque, come assalito da un pensiero, e rivolto al Viceré Eugenio: - Tout cela me rappelle quelque chose… Quelque chose que j’ai déjà vu…
Cosimo gli venne in aiuto: - Non eravate voi Maestà, era Alessandro Magno.

 

08 Finale lancio del pallone

Certi aeronauti inglesi facevano esperienze di volo sulla costa. Era un bel pallone ornato di frange e gale e fiocchi con appesa una navicella di vimini, e dentro due ufficiali con le spalline d’oro e le aguzze feluche guardavano col cannocchiale il paesaggio circostante. Anche Cosimo aveva alzato il capo e guardava attento il pallone.
Quand’ecco la mongolfiera fu presa da una girata di libeccio; cominciò a correre nel vento vorticando come una trottola, e andava verso il mare.
L’agonizzante Cosimo, nel momento in cui la fune dell’ancora gli passò vicino, spiccò un balzo di quelli che gli erano consueti nella sua gioventù, s’aggrappò alla corda, coi piedi sull’ancora e il corpo raggomitolato, e così lo vedemmo volar via trascinato dal vento, frenando appena la corsa del pallone, e sparire verso il mare…

 

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