LA RESISTENZA SPIEGATA A MIA FIGLIA
Presentazione del libro
a Isolabona nel castello dei Doria
Sabato 18 giugno, ore 18
Sarà presente l'autore
Alberto Cavaglion
La resistenza spiegata a mia figlia
l'Ancora
del Mediterraneo
pp. 115, euro 9
L'autore con la figlia Elisa
La resistenza è stata la dimostrazione del meglio di cui gli italiani fossero capaci: un'assunzione di responsabilità, la volontà di un riscatto che non riguarda solo la storia del fascismo e della partecipazione italiana alla seconda guerra mondiale. Si affrontano qui alcuni problemi controversi della storia della resistenza senza cedere alla sacralità o alla strumentalizzazione politica: si costruisce infatti una narrazione anti-eroica, senza aggettivi, ma ricca di colori. L'obiettivo è cercare una via d'uscita alternativa alla ricostruzione spesso rancorosa degli eventi. Non una storia di fatti sanguinosi, di efferatezze, di morti e di corpi violati, ma un tentativo di individuare le motivazioni profonde di un periodo di grandi speranze e di crescita collettiva. E di cogliere le ragioni della storia, ma anche le ragioni della vita. Un libro per le giovani generazioni che cerca di dare risposte esaurienti a quesiti difficili e spesso trascurati: come si colloca tutto questo nella storia d'Italia? E' davvero la "zona grigia" l'elemento distintivo di quei mesi? Fu davvero una guerra civile? Quale significato dare alla violenza?
Alberto Cavaglion vive ed insegna a Torino, dal febbraio 2009
è professore a contratto all'Università di Firenze.
Tra le sue pubblicazioni:
Per via invisibile (Bologna 1998),
Italo Svevo (Milano 2000),
Notizie su Argon: gli antenati di Primo Levi da Francesco Petrarca a
Cesare Lombroso (Torino 2006)
e, per i nostri tipi,
La filosofia del pressappoco (2001),
Ebrei senza saperlo (2002)
Il senso dell’arca (2006).
INTERVISTA ALL'AUTORE
Perché ha sentito l'esigenza di scrivere questo libro che affronta problemi complicati per un adulto figuriamoci per un adolescente?
Proprio perché i venticinque aprile della mia infanzia, così belli caldi e pieni di ricordi per lo scampato pericolo, mano a mano che
crescevo si stavano svuotando di significato. E quindi ho cercato di capirne il motivo. Ho provato ad affrontare questi temi molto complicati in un
linguaggio semplice senza banalizzarli e non piegandomi all'uso strumentale e politico di quegli eventi. La storia ha delle esigenze diverse
dalla politica.
Questo libro ha un retroscena inquietante. Un rifiuto. Ci può raccontare che cosa è successo?
È un libro scomodo. Io non sono uno storico allineato. Il libro è arrivato alla vigilia di essere pubblicato, ma poi Einaudi l'ha
rifiutato.
Nel libro lei ripete il bisogno di ripensare la memoria della Resistenza perché è stata imbalsamata e si è creato un enorme
effetto di saturazione. In che senso è avvenuto questo effetto e come si può fare per togliere la resistenza da questa restrizione?
Negli anni '60 e '70 la memoria della resistenza è stata ossificata, si è avvitata su se stessa, la storiografia non ha fatto grandi
balzi in avanti e si è creato un enorme effetto di saturazione che ognuno di noi vede a manifestazioni politiche e culturali. C'è
davanti a noi uno scarto generazionale enorme. Manca completamente un pubblico di giovani. Evidentemente negli anni passati, nelle scuole, si è
fatto qualche errore. La Resistenza non deve avere un aggettivo qualitativo. Un po' di autocritica non farebbe male. Ad esempio, è molto
difficile spiegare oggi ad un giovane una scelta di guerra così pulita e nobile senza se e senza ma.
Più volte nel suo libro lei si scaglia contro le strumentalizzazioni fatte sulla Resistenza negli anni settanta. Gli anni settanta sono
anche il periodo in cui lei dice di aver incominciato ad astenersi dalle manifestazioni pubbliche. Possiamo approfondire questo discorso? Perché
non si può paragonare la lotta armata degli anni settanta con la Resistenza?
Sono diventato un adulto negli anni '70. In quegli anni era normale l'abbinamento tra la violenza e la guerra partigiana anche in libri
seri sulla Resistenza. Ma è una comparazione che non ha senso: si dava per scontato che il clima fosse lo stesso. Perché i partigiani
entrano nella lotta armata in un contesto di guerra globale, dopo che l'Italia era stata in guerra per tre anni. Paragonare il contesto sociale
e politico del '43 agli anni '70 a me sembra un non-senso storiografico grosso come una casa.
"Mario e il mago" di Thomas Mann diventa la parabola dell'incantamento fascista. In questo senso la festa della liberazione diverrebbe
la festa del disincanto.
Ci tengo molto a questo racconto di Mann. Era la prima cosa che Einaudi mi voleva far tagliare: solo perché
il protagonista (metafora di Mussolini) è il "cavalier cipolla". Il racconto è bellissimo: è una parabola straordinaria
su come si può rimanere vittima di un "incantesimo", e rimanere assoggettati per tanti anni senza ribellarsi. La letteratura aiuta
la storia per sciogliere alcuni nodi.
Parliamo della definizione che lei dà alla Resistenza: "guerra per bande" e non di popolo. La Resistenza è quindi opera
di una minoranza anche frammentata, disordinata e anarchica.
La parte più bella della Resistenza sta nella sua disorganicità
ed eccentricità di essere fatta da personaggi fuori dagli schemi. La Resistenza non si incasella in schemi pre-determinati. Ciò dimostra
lazione di una minoranza lucida che rivelava delle virtù che si pensava fossero sopite dopo ventanni di dittatura. Questa è
una citazione che riprende Meneghello da Mazzini. Ingrandire la Resistenza e farla guerra di popolo è stata un errore, bisogna cercare di riscoprire
questo carattere di minoranza che costituisce la sua forza.
Il carattere risorgimentale della Resistenza e la riscoperta della politica
Per molto versi il lessico dei partigiani faceva riferimento al Risorgimento. Basti pensare alle Brigate Garibaldi.
Entrare dentro le ragioni della storia vuol dire attribuire a tutti i personaggi protagonisti uguale dignità storica, anche a coloro che
militarono nella parte avversa. Ci può argomentare questa affermazione?
Questa è la parte più controversa. Trovo francamente grottesca ogni rivendicazione di tipo economico e giuridico dei repubblichini oggi,
la legge richiesta a gran voce. La trovo sul piano storiografico assolutamente ridicola. Rivendicare dignità storica a tutti i protagonisti
mi sembra il minimo che si possa fare dopo sessantanni. Non si può parlare della parte avversa come caricatura (vedi: le anime morte).
Così la storia non può progredire: non si deve dare un premio ai buoni o una punizione ai cattivi.
L8 settembre viene considerata la data spartiacque in cui inizia l'antifascismo, ma anche il fascismo. In questo modo, lei dice giustamente,
che si cancella il ventennio. La Resistenza è il prodotto di un antifascismo nuovo e diverso contro un fascismo nuovo e diverso (quello della
RSI). Sono rari i casi di continuità tra vecchio e nuovo antifascismo. Ma quindi la sconfitta di Salò è stata la sconfitta di
tutto il fascismo?
Questo è un errore di prospettiva. Dobbiamo chiederci contro quale fascismo si combatte dopo l'8 settembre del '43 e contro quale
si combatte prima. Il fascismo aveva governato con grande consenso per ventanni. Bisogna rendere innanzi tutto onore a chi ha capito per tempo
e ha pagato con la prigione e lesilio: l'antifascismo. Il nuovo fascismo viene sconfitto militarmente. Il vecchio fascismo perdura dopo
il 25 aprile del 45. I partigiani, che avevano una consapevolezza politica più robusta, si rendono conto che subito dopo la Liberazione
le vecchie malattie congenite alla cultura italiana ritornavano in prima posizione e generarono la classe politica successiva. Tendiamo spesso ad
attribuire dei meriti alla Resistenza che non può avere. La Resistenza ci ha dato un punto di partenza straordinario.
La guerra partigiana non nasce civile ma lo diventa. Ci vuole spiegare meglio questo concetto?
Pavone diede questa definizione nel suo
libro, cioè guerra civile, che a me sembra per certi aspetti accettabile e per altri discutibile. Per semplificare ci sono guerre
che nascono civili e guerre che lo diventano. Prima dell8 settembre del '43 gli italiani stavano uniti. In alcune zone dItalia la guerra
era stata civile già ventanni prima con lavvento del fascismo: ad esempio l'Emilia. E poi c'è una guerra dentro gli
stessi italiani. Vittorio Foa dice che era una guerra civile che gli italiani combattevano dentro di loro.
La Resistenza non è stata una rivoluzione. La rivoluzione viene pensata in esilio non si poteva immaginare la grave malattia morale in
cui era precipitato il paese. Lei tende a pensare la Resistenza come rivoluzione-rivelazione.
Questa è una espressione che a me piace
moltissimo. È di Gobetti che si riferiva però al sorgere del fascismo come rivelazione dei vecchi mali della cultura italiana. Penso
che nella storia d'Italia non ci siano solo rivelazioni di mali o di cose negative, ma anche di doti positive come la fermezza, la costanza, la coerenza,
la determinazione di andare in fondo nelle cose. Come diceva Agosti: "capita una volta al secolo che in Italia succeda qualcosa di serio e di
pulito". E questo è il rivelarsi di doti che credevamo esistessero.
Intervista presa da qui
Qui invece una recensione di Goffredo Fofi