L'ultima roccia di Biamonti
Il Mediterraneo era per lui una patria ferita
Si
è spento nella sua casa nell'entroterra di Bordighera, all'età di 71 anni, uno degli scrittori più
schivi e appartati della letteratura italiana, Francesco Biamonti, scoperto, come scrittore da Italo Calvino, agli inizi
degli anni Ottanta, quando pubblica nei Nuovi Coralli di Einaudi L'angelo di Avrigue, un libro molto duro, aspro,
ambientato in un angolo sperduto della Liguria. Attraverso questi suoi paesaggi dell'anima Biamonti racconta il lento sfaldarsi
di un disagio giovanile, la storia di un ragazzo che cerca la morte proprio tra le rocce incantate di quell'angolo di terra
che diventerà per lo scrittore la sua patria dell'anima, la sua ossessione di bellezza, rivisitata di libro in libro,
attraverso un lirismo in prosa che spesso si avvicina alla purezza della poesia.
Era un uomo solitario e gentile Francesco Biamonti, allenato alla naturalità della terra, prima ancora che da un
lungo lavoro di osservazione e di contemplazione, dalla pratica del suo mestiere originario: quello di coltivatore di mimose
e di ulivi, di agrumi e di tanti fiori, che crescevano sui terrazzamenti, sempre in ordine, del suo piccolo paese, San Biagio
al Monte. Con una predilezione assoluta per un pittore, il grande Cèzanne, che aveva fatto del paesaggio della Provenza,
contigua al territorio intorno a Bordighera, la sua cattedrale di bellezza. E di Cézanne diceva Biamonti: «Io
penso sempre a Cézanne. Per me è il pittore per eccellenza ed è anche il descrittore di questi nostri
luoghi. Come lui non li ha visti nessuno».
La natura ha costruito la sua scrittura, l'ha alimentata nel vigore di spazi che puntavano all'infinito, che avevano il
cielo, lo spazio largo e il mare come punto di riferimento terreno, con una tensione più alta, più metafisica:
«C'è nel mio modo di essere un'ansia di assoluto: la realtà fugace e l'al di là che la circonda
e la ghermisce. Mi interessa la trascendenza che diventa trans-discendenza (come diceva Barthes) scende sempre più
in profondità, attraverso delle trascendenze. Credo che staccandosi da questo l'uomo diventerà una polvere
senza luce».
L'ansia religiosa e metafisica è interna a tutta la narrativa di Biamonti. I protagonisti delle sue storie sono
uomini solitari, spesso marinai che hanno affrontato il mare e ritornando alla terraferma devono fare i conti con il loro
inquieto desiderio di viaggio.
È questo l'aspetto che toglie l'opera di Biamonti dall'idea convenzionale di un semplice affondo lirico. Da uno
spazio personalissimo, dalla capacità di rilevare la valenza delle proprie radici e degli affetti naturali che lo
hanno nutrito, Biamonti ha voluto sempre allargare il proprio spazio di ricerca alla realtà che questi anni gli ha
drammaticamente posto innanzi. Così i suoi uomini scavati nei volti e nel fisico, secchi nella pelle bruciata dal
sole, simili alle sculture di Giacometti, affrontano i grandi temi della società degli anni Ottanta e Novanta: l'autodistruzione
giovanile come vuoto esistenziale in L'angelo di Avrigue (Einaudi,1983); il dramma dei Balcani come approdo ultimo
del viaggio di un marinaio che si trasforma in una rappresentazione metaforica dell'agonia dell'Europa in Attesa sul
mare (Einaudi,1994); le grandi migrazioni dei clandestini, viste attraverso i sentieri segreti della sua terra, sul
confine tra Francia e Italia, lette attraverso la figura di un "passeur", la guida di tutti i disperati delle
varie etnie che cercano rifugio in Francia in Vento largo (Einaudi, 1991) e poi, lo stesso fenomeno visto anche nell'aspetto
più violento e di disordine sociale, nell'ultimo romanzo, Le parole, la notte (Einaudi, 1998).
Per spiegare questo suo interesse Biamonti sottolineava che la scelta del confine tra l'Italia e la Francia era solo dettata
da ragioni narrative. In realtà gli interessava un discorso metaforico più ampio su tutto il Mediterraneo:
«Questa civiltà data dalla luce e dal sapere, dalla lucidità e dalla corrosione, è adesso minacciata
segretamente da un'orda barbarica, da una marea umana legata dai fanatismi di violenza. C'è un richiamo di morte
che viene da tutte queste popolazioni affamate che gravitano sul Mediterraneo. Avverrà qualche cozzo tremendo oppure
una sintesi superiore, nuova, che sia in grado di superare questi contrasti. Però non vedo ancora gli elementi di
superamento». Sono parole di alcuni anni fa, che rilette oggi rivelano la cognizione lucida e profetica degli scrittori,
come Biamonti, lontani dalle mode letterarie, dai conformismi estetici; fedele al suo mondo di roccia e di mare che, però,
poteva contenere anche tutte le chiavi di lettura delle inquietudini contemporanee.
"Avvenire", 18 Ottobre 2001
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