Fantasmi oltre frontiera
Settant'anni fa, le coste della Liguria orientale,
ricordate in "Ossi di seppia", erano il più famoso paesaggio metafisico della lirica italiana: i frangenti sulle
rocce, le agavi, qualche pino distorto, la casa del doganiere, la voce del Mediterraneo. Negli ultimi libri di Caproni, un altro
paesaggio ligure porta un segno metafisico ancora più acuto. Il viandante lascia la costa: dimentica il mare, come se non
fosse mai esistito quel vasto specchio di barbagli e di illusioni; e si inoltra nella misteriosa e desolata regione delle colline,
tra i radi torrenti. C'è un balzo improvviso: una scossa; e più avanza, più il viandante ha l'impressione
che il suo viaggio lo conduca nelle ultime terre di confine, nei luoghi non giurisdizionaliî, dopo il quale si estende l'Erebo
- il regno al quale egli e noi tutti apparteniamo senza saperlo.
Nei libri di Francesco Biamonti, come nell'ultimo
appena pubblicato ("Le parole la notte", Einaudi pagg. 202, lire 26.000), incontriamo l'altra, estrema Liguria: le colline
che da Bordighera a Ventimiglia conducono verso la Francia e il Piemonte. Non c'è paesaggio più arido: rocce, argille,
rovi, ulivi, mimose, un sorbo, un nespolo, un mandorlo, poche rose - muri a secco, case abbandonate. Tutto è spoglio: la
frutta più vivace è "l'uva d'inverno, ancora attaccata alla vite, becchettata dalle passere".
Strade non asfaltate, sentieri di polvere conducono
chissà dove. Ma presto volgiamo le spalle alla terra: perché la forza e la vita si sono concentrate sul mare, che
è diventato il centro dell'universo. Non facciamo che osservarlo: la luce che si sposta sulle acque e le infiamma, le nuvole
che le adombrano, i venti dolci o furiosi che risalgono verso terra. Ci sembra che, ormai, ogni filosofia e ogni conoscenza umana
siano impossibili. All'uomo che abita qui, tra i pini e i sorbi, come a tutti gli altri che credono di vivere altrove e abitano
qui, non resta che cercare di conoscere il mare, la luce, le trasformazioni della natura. Non c'è più altro da conoscere
e da sapere. Tutto sembra andato in frantumi: eppure la natura resta misteriosamente stabile, fedele a se stessa, forse eterna.
Molto tempo fa, qui è accaduto, qualcosa
di gioioso, un suono di campane ha illuminato le colline. Ora tutto sta per spegnersi: tutto è spossato ed esausto; queste
colline vuote, queste strade che non conducono da nessuna parte, questi pochi viandanti, questi alberi storti sono il segno che
il mondo è abbandonato da qualsiasi vita. Gli dèi sono morti. Le idee non esistono più. Le passioni sono
spente. I libri illeggibili. Gli uomini muoiono, o si uccidono - e forse non c'è nemmeno più la morte, perché
quando si giunge di là si trova un Niente incredibilmente delicato e leggero, abitato da spettri che non osano aprire la
bocca. Quante volte gli uomini hanno annunciato invano la fine dei tempi: ora essa è finalmente arrivata; e nessuna apocalisse
la annuncia.
La notte, qualcuno passa ancora in questi luoghi.
Emigranti clandestini arabi, o turchi, o curdi varcano la frontiera. Il mondo è divenuto una sola zona di frontiera; e
non ci resta che varcare il confine, andare altrove e ancora altrove, in un perenne esilio da una patria e da un passato scomparsi,
e da noi stessi che stiamo per scomparire. Ma sono davvero uomini quelli che passano la frontiera? O invece gli emigranti clandestini
sono spettri, e qualche traghettatore d'anime li conduce in un Erebo ancora più irrevocabile di quello di Caproni? In ogni
caso, "di là" non c'è nulla: nessuna casa, nessuna realtà, nessun conforto; forse nemmeno il regno
dei morti.
Come gli altri libri di Biamonti, "Le
parole la notte" è scritto sotto il segno della dea Omissione. Ogni pagina affonda nell'inespresso. Gli eventi sono
cancellati - e sostituiti da quei minimi eventi che sono i cambiamenti di colore nelle foglie degli ulivi, o una rondine che raccoglie
con le piume la rugiada, o la malattia delle rose. I personaggi non dicono mai ciò che hanno in mente: ogni parola nasconde
un silenzio profondissimo. I sentimenti e le sensazioni sono cancellati: oppure nessuna spiegazione li motiva. Solo qualche slancio
lirico rivela i segreti dell'anima.
Una mano spietata ed ascetica annulla ogni
parola che non sia assolutamente necessaria; e a volte Biamonti pare sul punto di rinunciare ad esprimersi. Ma dietro questa superficie
spoglia, quale straziante desolazione amorosa attende una risposta che non verrà mai. Il vuoto è animato da questo
muto battere d'ali.
Pietro Citati
la Repubblica, 22 gennaio 1998
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