Cieli e mari di Sergio "Ciacio" Biancheri
La storia della pittura di Biancheri è breve e lineare: da fondali di alghe e di grovigli, segni nervosamente
tracciati su pianure di silenzio, giunge ora alle marine di solidificata malinconia. Ma anche in questo secondo tempo esso ha
una sua vicenda: mari oscuri, piste di tenebre oltrepassano i crepuscoli e si convertono in chiare regioni della memoria. Si
è sempre capito che Biancheri era la ricerca di "mari perduti" e allorché rappresentava fitte boscaglie
di palme tendeva a tradurre in vortici acquorei.
Naturalmente il mare divora - colui che guarda troppo a lungo il mare, come i propri sogni, diviene simile
alla sua ombra - ed io non so come Biancheri sia riuscito a rendere l'annichilente sensazione. Non so pensare spiegazione che
si discosti dai mari ritrovati nel fondo della memoria, contemplati fino a portare a fissicità ciò che varia. Per
Biancheri, ligure, cioè quasi isolano, è una vasta lastra tagliente, un luminoso campo petroso ove la vita finisce
sempre per franare...
Come le onde e quella linea di luce la pittura di Biancheri s'increspa e fugge. E' la traduzione in chiare
distese di certi gesti fra onirici e sacri, che rappresenta una reazione all'impossibilità spettrale di afferrare le cose
nella loro essenza, non rivestite dal nostro sentimento.
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