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L'acqua non è una merce

Salendo da Isolabona verso Pigna, un po’ prima del ponte di Bonda, sulla destra in mezzo ai venchi e alle arästre, c’è una croce di ferro. In quel punto, un secolo fa, un uomo fu ucciso perché aveva rubato l’acqua. L’arma del delitto una sapeta, la piccola zappa triangolare che serviva nelle varie operazioni necessarie per irrigare le colture. Fu un caso isolato e l’omicida era anche, così si tramanda, un uomo particolarmente violento, ma il fatto parla chiaro. In quei tempi, quando tutto quello che finiva sul desco era prodotto nelle nostre terre, ci si poteva garantire la sopravvivenza invernale solo mettendo da parte d’estate i frutti della terra, dell’orto soprattutto.
Come si può leggere in altra parte del giornale l’acqua irrigua veniva regolata da leggi precise decise dai nostri antenati che la ripartivano secondo le esigenze di ogni famiglia. Non la si pagava, ma ognuno era tenuto a partecipare ai lavori ricorrenti per la manutenzione dei beäi. Adesso invece la si paga, e la si pagherà sempre di più in futuro perché sempre più rara sta diventando.
Fra vent’anni metà degli abitanti del pianeta ne soffrirà la mancanza e qui non ci sono fonti alternative che tengano come si potrà per il petrolio quando questo mancherà. È una bomba a orologeria piazzata sotto la nostra civiltà.
A Kioto, dal 16 al 23 marzo, presenti diecimila delegati di oltre centocinquanta paesi, si è svolto un vertice che avrebbe dovuto stendere i protocolli mondiali per affrontare questo problema ormai non più procrastinabile. Le notizie sulle decisioni prese sono passate in secondo piano perché un’infausta guerra “preventiva” era in corso in Irak, e così, in maniera subdola e strisciante, si è sancito il concetto che l’acqua della Terra possa essere privatizzata, con la benedizione del WTO*. Già attualmente due multinazionali francesi, la Vivendi-Générale des eaux e Suez-Lyonnaise des eaux, si sono appropriate di circa il 40% del mercato mondiale, e sono presenti in più di 150 paesi, Italia compresa.
Fra i parametri usati per classificare la qualità della vita degli abitanti di un Paese c’è il consumo pro capite d’acqua. Soltanto un dato. Un nordamericano ne consuma in media 425 litri al giorno, un africano, sempre in media, 10 litri. E questo basti.
L’acqua che è sulla Terra è quella che è da quando si è formata. Evapora dal mare, forma le nuvole e poi precipita sotto forma di pioggia.
Quella che beviamo o quella che zampilla dalla doccia si è già fatta un bel po’ di miliardi di questi viaggetti, e quindi la stessa che oggi adoperiamo niente ci impedisce pensare che l’abbia usata anche un uomo della pietra o che l’abbia bevuta Alessandro Magno. Ed è proprio questa circolarità che dà all’elemento il senso della continuità della vita al di là della nostra esistenza e che riunisce in una sfera ideale uomini, animali e piante. Di più, quando una sonda spaziale viene inviata a indagare su altri corpi celesti cos’è la prima cosa di cui si accerta o meno l’esistenza? L’acqua. Proprio lei. Al di là quindi anche dei piccoli confini della nostra amata Terra. Da qui tutti i miti e i riti che si sono succeduti nelle varie epoche storiche e nella diverse culture. In questi tempi che ci tocca vivere dove tutto è soggiogato al denaro anche questo bene sta cadendo nella rete dell’economia con le sue leggi spietate. Hai soldi, bevi. Non ne hai, muori. Già adesso, ogni anno milioni di persone (quanti di milioni? due, tre, cinque, chi lo sa, tanto sono esseri umani non segnati in alcuna anagrafe) muoiono per mancanza d’acqua e sarà sempre peggio se quello che si è deciso a Kioto verrà messo in pratica.
Noi, nelle nostre zone siamo più fortunati. Abbiamo acqua a sufficienza e buona. Ma anche qui la privatizzazione avanza. Alcuni comuni gestiscono ancora in proprio l’acquedotto, altri lo hanno affidato a società private che ci lucrano.
Sia ben chiaro, se si vuole l’acqua in casa bisogna pagarla, già ma a quale prezzo, perché è questo il punto. È giusto guadagnare sull’acqua? Noi diciamo di no, e consapevoli che ogni Comune non può da solo far fronte alla manutenzione dell’acquedotto, l’unica via da seguire è quella del consorzio fra i vari paesi della vallata per avere il costante controllo dei prezzi, ma anche, e in questo caso i simboli sono importanti, per ribadire che l’acqua, quella di cui si parla nella mostra, quella che è stata il motore dello sviluppo di questa vallata, non può e non deve essere battuta a un’asta pubblica.

Alberto Cane
alberto@terraligure.it

*Organizzazione mondiale del commercio, anche commercio d'acqua, appunto.

 
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